Viaggio nella storia di una terra aspra e montuosa.
Oggi vi racconto, per quel che posso, la storia di una terra che tanto mi è cara… E lo voglio fare in un modo poco consueto, percorrendo un viaggio attraverso la tradizione orale che nei secoli si è tramandata in questi luoghi.
Siamo nella Valle del Salto, terra di confine tra Lazio e Abruzzo, nella meravigliosa sub-regione laziale che fu prima degli Equi e poi dei Briganti: il Cicolano.
Questo territorio, montuoso e impervio, è caratterizzato da alti rilievi e meravigliose vallate, come la nostra, che deve il suo nome alla presenza del fiume Salto e all’omonimo lago artificiale, il più grande della regione laziale.
La Valle del Salto, meta turistica già dall’Ottocento, è un tuffo nel passato, una bellezza integra, incorrotta, dipinta da verdi colline, foreste fiabesche, falesie, fiumi limpidi e laghetti d’alta quota.
Da non perdere sono i tramonti sul lago, ricchi di storia e di leggenda: una bella fotografia del bacino si ha quando le acque si ritirano e, in silenzio, fanno capolino i resti delle abitazioni che negli anni quaranta furono sommerse dalle acque a seguito della costruzione della diga per la produzione di energia elettrica.
In questi luoghi della valle del salto sono presenti anche innumerevoli abbazie e resti di rocche e castelli medievali, nati quando, per difendersi dai Saraceni, gli abitanti lasciarono i loro vecchi insediamenti per rifugiarsi nelle alture da cui potevano controllare le varie vie di accesso della valle. Tra questi citiamo la Rocca Cenci, la cui storia è fortemente legata alle vicende storiche, divenute anche leggenda e mito, della giovane Beatrice Cenci.
Un po’ di storia della Valle del Salto.
Il territorio della, come tutta la Valle del Salto, la vicina Marsica e L’Aquilano, è caratterizzato da vicende cruente e da fatti sanguinosi intrecciati a travolgenti storie politiche. L’ambiente ostile e poco accessibile e la posizione geografica quale zona di confine con lo Stato Pontificio, lo resero luogo perfetto per lo sviluppo del fenomeno del Brigantaggio, soprattutto dopo il 1860, quando il Regno delle Due Sicilie fu definitivamente annesso al nuovo Regno d’Italia.
Passeggiando tra i minuscoli borghi della Valle del Salto si possono ammirare dei murales raffiguranti questi famosi fuorilegge, a piedi o a cavallo: furono disegnati in seguito a un concorso nazionale di pittura murale nell’ambito del progetto “Percorsi del Brigantaggio nella Regione Equicola”, sono presenti in quasi tutte le frazioni del Comune di Fiamignano.
La ribellione delle masse vedeva coinvolti ex soldati dell’esercito borbonico, disertori dell’arruolamento al nuovo esercito, fuori legge e malavitosi, ma anche rivoltosi impegnati a difendere i propri diritti di fedeltà al Re di Napoli; Già nel periodo borbonico i luoghi di frontiera della valle del salto erano caratterizzati da un clima di instabilità sociale, politica e culturale.
Fenomeni di contrabbando, saccheggi e corruzione alimentavano i contrasti tra le guardie doganali e i gendarmi papali preposti al controllo del confine. Lo Stato Pontificio ed a sua volta una gran parte del clero, offriva rifugio e assistenza alle bande di briganti che, considerate come eroiche squadre militari, venivano premiate ed incitate nelle loro azioni.
Anche il Re Francesco dopo la conquista del regno si rifugiò nello Stato Pontificio e spesso invitava, nella sua dimora a Roma, i capo-briganti offrendo aiuti in armi e denaro, incitandoli alla rivolta contro i piemontesi. La maggior parte dei briganti nel periodo invernale, cioè dai primi di novembre fino alla fine di aprile, rimanevano ospiti nello Stato Pontificio occupandosi di lavori campestri o di pastorizia e quando giungeva la primavera, col clima meno rigido e con la possibilità di nascondersi meglio nei boschi ricoperti di foglie, tornavano in piccole bande nel valle del salto per darsi ad ogni tipo di violenza, soprattutto contro quelli che erano ritenuti fautori del nuovo regime.
Berardo Viola, il famoso brigante della valle del Salto.
La figura del brigante Berardo Viola, ricordata anche nel romanzo “Fontamara” di Ignazio Silone, è emblematica per la storia del brigantaggio di questi luoghi. Berardo è lo spirito più vivace di Fontamara, con una forza incredibile e un’indole incendiaria, eppure buona. Creato magistralmente da Silone, incarna la lotta contro ogni ingiustizia ed è, quasi a sua insaputa, il volto della rivoluzione popolare, della vittima che lotta contro il suo aguzzino. Un personaggio memorabile.
Un cittadino ed un cafone difficilmente possono capirsi. In gioventù sono stato in Argentina, nella Pampa; parlavo con cafoni di tutte le razze, dagli spagnuoli agl’indii, e ci capivamo come se fossimo stati a Fontamara; ma con un italiano che veniva dalla città, ogni domenica, mandato dal consolato, parlavamo e non ci capivamo; anzi, spesso capivamo il contrario di quello che ci diceva. Lì, nella nostra fazenda, c’era perfino un portoghese sordomuto, un peone, un cafone di laggiù: ebbene, ci capivamo senza parlare. Ma con quell’italiano del consolato non c’erano cristi.
Fontamara, 1933
Per provare a comprendere quale fosse l’opinione della gente comune (o quantomeno di una sua parte) del complesso fenomeno del brigantaggio e dei singoli briganti che operarono nella valle del salto, può essere utile leggere i contenuti di brevi poesie inedite, anch’esse di tradizione orale, raccolte dalla Pro Loco di Fiamignano durante un’indagine condotta dai primi anni Settanta del secolo scorso.
Ciò che sorprese fin dal primo approccio fu l’inattesa raffinatezza di alcuni componimenti e l’estrema varietà delle tematiche trattate dai pastori poeti: pur essendo semianalfabeti, al seguito delle greggi era consuetudine che leggessero molto, al punto che non erano pochi quelli che potevano vantarsi di sapere a memoria alcuni testi classici come l’Orlando Furioso, La Gerusalemme Liberata, La Secchia Rapita ed altri ancora.
Brevi poesie di pastori erranti
Berardino Cesarini
«Farabutti ‘sti briganti? Grassatori senza cuore? Nella storia stan tra i vinti ma l’ha scritta il senatore. Oltraggiarli? State attenti: non è ricco e fu pastore, se setacci i loro eredi non ci trovi quel che credi!».
È il pastore Berardino Cesarini che, dopo aver sottolineato la diffusa provenienza pastorale dei briganti, ribadisce che gli stessi non hanno accumulato ricchezze, abitano in case fatiscenti e sono benefattori dei più poveri.
«Prim’avéa passóne ‘é nocchia – ricorda la dannunziana “verga d’avellano” mó fuggiàscu è pé’ la macchia. Come mai, oh, accipicchia: tantu grassa, pócu accùcchia e pé’ casa ha catapecchia? Lo consideri un ladrone, o dei miseri fa il bene?».
Prima aveva il bastone di nocciolo / ora si rifugia nella macchia. / Come mai, oh, accipicchia: / tanto ruba e poco ammucchia / e per casa ha una catapecchia? / Lo consideri un ladrone, / o dei miseri fa il bene?
Berardino Lodi
Ancora più esplicita è l’ottava rima di Berardino Lodi, che dopo aver ribadito che i briganti, quelli veri, non tengono nulla per loro stessi, chiarisce che sono i signori a dover temere per le loro greggi e puntualizza quale sia l’area degli scontri e delle fughe.
«Chi ‘u brigante fa per arte men di nulla di suo tiene ai signori brutta sorte delle greggi lascian lane. ‘Ellà jace Tornimparte ‘é qua terre cicolane. Torrecane, Nória e Cóppi sò’ le terre délli schióppi».
Chi il brigante fa per arte / men di nulla di suo tiene / ai signori brutta sorte / delle greggi lasciano soltanto la lana. / Al di là del monte c’è Tornimparte / da questa parte le terre cicolane. / Torrecane, Nória e Cóppi / sono le terre delle guerriglie.
Antonio Giordani
Ma la capacità di fare satira in rima non è una prerogativa del «basso popolo» o «plebaglia» anche Antonio Giordani, possidente, nella seguente eptastican dice la sua in merito alla questione.
«Fa de forza e prepotenza pé’ rempìsse a sbafu ‘a panza mentre canta: “Unza unza …” chiappa ‘a coppa, spicca ‘a lonza òpre ‘a càssia có’ la pinza. Egli è un nullafacente mmascaràtu da brigante».
Agisce di forza e prepotenza / per saziarsi a sbafo / mentre canta: “Unza unza …” / arraffa la coppa e la lonza / scassina la cassetta con la pinza. / Egli è un nullafacente / mascherato da brigante.
Anonimo
Proseguendo sul parallelismo politici e briganti, che qui diventa padroni e briganti, induce ad una riflessione: visto che entrambi ci predano, dice il poeta, quale tra le due categorie è meno faticoso dover sopportare? E poi confessa i perché della sua scelta di campo, che forse è basata sulla funzione del “restituire”, attribuita ai briganti, che è completamente diverso dal semplice “dare” ai «cafoni» ciò che si sottrae ai «padroni».
«N’é passata jó pe’ i fossi d’acqua ch’ha’llisciati i sassi ma i più tósti non li smussi: chi sò’ meglio quìlli o quìssi predator de’ nostre messi? Sto con chi grassa i padroni per ridarlo a noi cafoni!».
Ne è passata lungo i fossi / di acqua che ha allisciato i sassi / ma i più duri non li smussi: / chi sono meglio quelli o questi / predatori delle nostre messi? / Sto con chi grassa i padroni / per ridarlo a noi cafoni!
Lo schierarsi, almeno sentimentalmente, a fianco dei briganti e contro i padroni si manifesta anche attraverso la dichiarazione di omertà consapevole.
Margherita Rossetti
Secondo Margherita Rossetti, l’autrice della seguente eptastica, il popolo intero sa dov’è Berardino Viola, brigante «audace ed insolente», che non piegò mai la testa di fronte ai potenti, ai quali, anzi, rubò le pecore e allentò i lacci della borsa. Nessuno, però, lo ha mai rivelato alla legge.
«Fu il terribile brigante tosto audace ed insolente ai Sor mai lui diede vinte prima gl’ha pecora munte e poi capicciòle sjónte. Tutti sau: “Berardu briga” ma alla legge lo ‘ice brega!».
Fu il terribile brigante / tosto audace ed insolente / ai Signori mai lui diede vinte / prima gli ha rubato il latte / e poi gli ha sciolto i lacci della borsa. / Tutti sanno: “Berardino Viola briga” / ma nessuno lo denuncia!
Anonimo
In riferimento al contesto sociale in cui il brigantaggio è fiorito nella valle del salto e ai rapporti esistenti tra «basso popolo» e briganti, il 30 ottobre 1860 così scriveva un anonimo al generale comandante delle truppe piemontesi:
«Mi onoro […] indicargli gli autori della reazione accaduta nel circondario di Fiamignano il giorno 28 dello spirante ottobre e sono quelli al margine segnati; quali sono tutti protetti dal basso popolo atteso che gli danno da vivere e gl’insinuano a far sorgere rivoluzioni […]».
«Chi è che accosta ‘a pòra gente e ai signori sa far fronte si ribella e non dà vinte ógne fette mai state unte? Non pò’ esser che un brigante!».
Chi è colui che aiuta la povera gente / e i signori sa fronteggiare / a loro si ribella e non dà vinte / unge il pane a chi non l’ha mai avuto unto? / Non può essere che un brigante!
“Brigante” è un termine che, nel tempo, a livello locale ha assunto un significato del tutto particolare, nel dialetto è sinonimo di “monello”.
Ancora oggi, dopo un secolo e mezzo dalla fine del fenomeno, è in uso nel Cicolano un modo di dire che lascia pensare:
A brigante, brigante e mezzo!
Se ti è piaciuto questo viaggio nella storia della Valle del Salto, ti consiglio di esplorare il “Cammino dei Briganti“, un affascinante percorso escursionistico che si snoda tra Abruzzo e Lazio. Il cammino, lungo circa 100 chilometri, segue le orme dei briganti che nel XIX secolo si rifugiavano in queste terre impervie per sfuggire alla giustizia e combattere per la loro libertà. Lungo il percorso, potrai ammirare paesaggi mozzafiato, antichi borghi, foreste incontaminate e conoscere storie di resistenza e ribellione che hanno segnato la storia di questa regione.